Beppe Finessi: Progetto Cibo

Cibo, ultima frontiera del design? Dalla cucina tradizionale alla nouvelle cousine l’attenzione all’estetica dei piatti ha sempre fatto la differenza a tavola. Un noto motto giapponese dice che si mangia prima con gli occhi e poi con la bocca: non è forse un caso che nel paese del Sol Levante si sia sviluppata l’arte del sampuru, le pietanze colorate che i ristoranti usano esporre nelle vetrine esterne dei locali per promuovere quello che realmente serve la cucina – e spesso gli esempi in plastica sono addirittura più accattivanti dei piatti veri e propri. Il mondo ha goduto fino a pochi anni fa della possibilità, seppur remota, di sperimentare i sapori travolgenti di un genio della scienza applicata come Ferran Adrià che da sempre ha fatto riferimento all’architettura per le sue ricette, dedicando ugual tempo ed energie all’aspetto e al gusto, con il risultato di ottenere sempre il tutto esaurito nel suo piccolo locale El Bulli sulla baia di Roses (a poche ore da Barcellona) che nel tempo ha saputo sorprendere i palati più raffinati – ora, non più in attività da qualche anno.

Il cibo è sempre più presente mondo della rete e la cucina sta vivendo un momento di nuova e grande popolarità. Forse la ragione va cercata in una rinnovata attenzione a cosa si mangia e a come lo si mangia? Anche il design può dare il suo contributo a migliorare l’alimentazione delle persone? La prima indagine raffinata e completa sul design del cibo arriva dal Museo MART di Rovereto, da qualche tempo capitanato da Cristiana Collu, con la mostra Progetto Cibo. La Forma del Gusto”, a cura di Beppe Finessi, un progetto espositivo che rappresenta il tentativo, attraverso gli oltre 200 vivaci oggetti proposti, di stimolare nel visitatore una diversa percezione estetica e sensoriale; una selezione di opere “da mangiare con gli occhi, assaporare con lo sguardo e percepire con tutti i sensi”, come raccontano dal museo. Da anni, i media si occupano del buon cibo e indagano ogni sua tecnica e applicazione, il parallelo con il design sembra sempre più calzante: cibo prodotto in quantità seriale o cibo in edizione limitata?
La continua e articolata sperimentazione non solo degli chef stellati Michelin può ben rappresentare un esempio del cibo in limited edition (che sta forse alla poltrona in limited edition?), prodotto per pochi e servito nei templi dell’alta gastronomia internazionale. Sul cibo seriale, nato appunto dalla produzione industriale, si potrebbero spendere pagine costituendo per qualcuno una discutibile risorsa oltre al limite di pregiudicare la naturalezza degli ingredienti originari – in USA buona parte della popolazione meno abbiente può permettersi solo un Mc Donald’s; se è vero che non è la scelta più sana, è altrettanto vero che si può avere un pasto per pochi dollari. Come dice Paola Antonelli, “in troppe regioni del mondo la semplice disponibilità di cibo è ancora oggi una questione di vita o di morte. In altre, dove cibo e benessere abbondano, esso fa parte del sistema di simboli che rende possibili la vita sociale e la comunicazione di base.” Per Beppe Finessi, per cui “tutto è progetto, anche (e soprattutto) il cibo”, il percorso della mostra si sviluppa a partire dalla struttura architettonica delle pietanze più tradizionali per arrivare al contributo dei grandi chef italiani alla costruzione di una nuova estetica gastronomica con personaggi del calibro di Carlo Cracco con i libri di cibo, Massimo Bottura con gli omaggi ai grande della cultura internazionale (come Thelonius Monk), Gualtiero Marchesi con il suo risotto oro e zafferano e con la lasagna aperta, Davide Oldani (deliziosa la sua cipolla caramellata) e Davide Scabin con il suo Cyber Egg. La mostra apre però con un’arancia, omaggio a grande Bruno Munari che si riferisce a questo frutto trattandolo come fosse un progetto realizzato sulla carta da un designer industriale e che altrove ha scritto un saggio appassionante in cui elencava tutti gli utensili per cucinare utilizzati nella cucina classica occidentale contrapposti al solo uso delle bacchette in legno per i paesi orientali: chissà come cambia la geografia degli utensili? La sezione sul “Cibo Anonimo” vede in parata arancini di riso, panettoni, lasagne, spiedini, strudel e olive ascolane – che richiedono un processo di realizzazione ingegnoso e articolato – ma anche tante forme diverse di pane, alimento base per molti, che in tutto il mondo rappresentano interpretazioni diverse dello stesso tema progettuale. Quando si arriva al cono gelato in biscotto o al bastoncino che sostiene il ghiacciolo l’industria ci ha già messo lo zampino cosi come per la realizzazione del maccherone rigato e lo stampo a più piani sfalsati per il budino – Ding 3000 con S-XL Cake, 2007. Siamo nel 1925 quando Haribo crea la rotella di liquerizia, se non è disegnata questa? Divertenti le interpretazioni nella sezione “Forma come Funzione” con il Finger Biscuit del 2004, biscotto da indossare sulle dita e intingere nella Nutella di Paolo Ulian e il suo righello di cioccolato, il Golosimetro del 2002; la baguette con il manico di Alexis Georgacopoulos (2000) e i Saltinbocca di Iacchetti e Ragni – il primo ha realizzato anche diverse decorazioni/texture per biscotti. Tra le curiosità anche le Interferenze – così si chiama la sezione del progetto: oggetti di tutti i giorni realizzati con il cibo, in rassegna nella mostra come paradossi o semplicemente materia ispirazione; più note le diverse allusioni a cibo e alla sua fattura come le ciotole Spaghetti Bowl del 2004-2012 di Gaetano Pesce che sembrano spaghetti al pomodoro arrotolati o Candy Sun Glasses di Bless Design. La rivoluzione della cucina ha fatto nascere anche nuove professioni: esistono oggi i food designer (ormai vera e propria categoria a sé). Uno fra tutto lo spagnolo Martí Guixé in mostra il suo con il suo Menu Degustacio – un vero e proprio rivoluzionario e precursore in questo campo da oltre dieci anni con le sue Fish Snack System del 2001, le Techno Tapas del 1997 e la Edible Pen, ricavata da un bastoncino di liquirizia, sempre del 1997. L’architettura dei piatti è anche un’espressione del tempo in cui viviamo: qualche esempio da commentare potrebbe essere il carpaccio negli anni ’60 (inventato da Cipriani nel 1963), la cucina molecolare degli anni ’90, il ritorno alla cucina tradizionale degli anni ’10 del 2000 fino alle collane di zucchero contemporanee. E se “mangiare è un po’ come pensare”, come titola il testo di Aldo Colonnetti in catalogo, mangiare è anche scrivere: ecco le matite di cioccolato di Nendo complete d’astuccio, Chocolate Pencils del 2007. C’è poi una sedia fatta di michette (Poltroncina di Pane, 2007) insieme e un’altra interamente di riso (Sedia di Riso, 2007) di Riccardo Blumer. Alcuni progetti accendono i riflettori su lati inquietanti del futuro del cibo come il Genetically Modifyed Egg del 2009, l’uovo con la base squadrata che sta in piedi da solo di Dominic Wilcox o il tuorlo decorato di Printed Egg di Matt Brown; se il design deve aiutare a vivere meglio, senza arrivare agli insetti gratin di Susana Soares, quale tema è più importante da affrontare se non il nostro pane quotidiano? Cosa c’è di più commestibile dell’uso quotidiano delle cose?

AUTHOR: Maria Cristina Didero
CREDITS: Photos by Jacopo Salvi

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